LA TUNISIA DOPO BEN ALI': SOLO IL 16% SI E' ISCRITTO NELLE LISTE ELETTORALI

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di Marco Todarello

 

                                                    La casbah di Hammamet                                        La-casbah-di-Hammamet.jpgDifficile, lento, incerto. Così appare il cammino della Tunisia sei mesi dopo l’uscita di scena di Ben Alì e sette dopo la morte di Mohamed Bouazizi, l'ambulante che si è dato alla fiamme davanti al palazzo governativo di Tunisi sancendo così il primo atto della rivoluzione dei gelsomini.

Il 23 ottobre il popolo sarà chiamato a eleggere l’assemblea costituente, incaricata di scrivere una costituzione democratica e fornire così le basi per la costruzione della prima democrazia moderna del Maghreb. La strada verso le storiche elezioni, però, sembra più ardua del previsto. 

La Babele di partiti e lo scetticismo tra i cittadini
Quattro giorni prima della scadenza del 14 agosto, solo il 16% dei cittadini si è iscritto nelle liste elettorali. Nonostante l’impegno del presidente del comitato per l’elezione della Costituente Jamel Kendoubi, che ha già rinviato due volte la data di scadenza, è verosimile che i tunisini chiamati a scegliere i membri dell’assemblea saranno solo un’esigue rappresentanza dei 10 milioni che abitano il Paese.

LE OMBRE DEL REGIME. Mezzo secolo di partito unico ha lasciato il segno nella disaffezione e nella sfiducia dei cittadini nella politica. Secondo un sondaggio citato da Al Jazeera, mentre la maggior parte dei tunisini è ottimista per il futuro, il 61% non crede nella classe dirigente.
La nascita di almeno 82 nuovi partiti non ha certo contribuito a fare chiarezza. Sempre secondo il sondaggio, la gente è convinta che almeno 15 delle nuove formazioni politiche siano manovrate da uomini vicino al vecchio regime. Tra i partiti in lizza nelle elezioni di ottobre ce ne sono molti che solo dopo la rivoluzione sono usciti dalla semiclandestinità a cui erano costretti. Come il Partito democratico progressista, di impostazione laica, che subì duramente la repressione del regime di Ben Alì, oggi guidato da Najbi Chebbi. Alcune chance dovrebbero averle anche gli ex comunisti di Ettajdid (Rinnovamento), partito guidato da Hamma Hammami e ora schierato su posizioni di centrosinistra.

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ISLAMISTI FAVORITI. Ma il partito che più degli altri è favorito nella vittoria elettorale è Ennahda (Rinascimento), di stampo islamista vicino ai Fratelli musulmani che al momento i sondaggi danno al 18%.
Grazie al sostegno finanziario di molti Paesi, soprattutto di quelli del Golfo, Ennahda fornisce un aiuto costante alla popolazione offrendo risorse, lavoro, e perfino finanziando i matrimoni collettivi. La politica del partito islamista, che per queste ragioni gode di un ampio consenso, è guardata con sospetto dal premier ad interim Beji Caid Essebsi, che ha puntato il dito proprio contro i partiti religiosi come Ennahda, secondo lui colpevoli di aver fomentato i disordini del 19 luglio a Sidi Bouzid volti a far saltare il voto del 23 ottobre.

«DEMOCRATIZZAZIONE IN ATTO». «Nel Paese non c’è nessun rischio islamista», ha spiegato a Lettera43.it Vincenzo Della Seta, professore di Affari europei ed africani all’Università di Trento, il problema è che non è chiaro quale sia il movimento politico in grado di governare nel medio e lungo termine. Ma i processi di democratizzazione sono reali».

Crollo del turismo e disoccupazione non abbattono la speranza .
Su questo sfondo di incertezza politica, l’economia del Paese è ancora in stallo. Il turismo - tra le principali anime produttive, che vale il 6,8% del Pil e dà lavoro a una persona su cinque - è ancora fermo, dopo un crollo di quasi il 50% dopo i primi sei mesi del 2011.
Nonostante gli sforzi del locale ministero del Turismo, la Tunisia è ancora lontana dal tornare a essere una delle principali destinazioni del Mediterraneo. Alcuni funzionari tunisini hanno detto che l’economia nel 2011 crescerà meno dell’1%, rispetto al 3,7% del 2010.

CRESCE IL DEFICIT. E proprio per via dei mancati guadagni turistici, Standard & Poor's ha calcolato che la Tunisia dovrà fare i conti entro la fine dell’anno con un deficit del 6% sul Pil (che nel 2010, secondo i dati della Banca mondiale, era pari a 44 miliardi di dollari).
Una spinta alla ripresa potrebbe forse venire dalla riorganizzazione della banca di Tunisia e del gruppo Carthago, due punti di riferimento dell’economia nazionale che fino a pochi mesi fa erano nelle mani del clan di Leila Trabelsi, moglie dell’ex presidente Alì e manovratrice delle sue scelte economiche.

                                                                                                   tunisia-rivoluzione.jpg  DISOCCUPAZIONE CON PUNTE DEL 48%. I disoccupati nel Paese sono circa 700 mila, ovvero il 16% della forza lavoro. Ma nelle zone rurali, più lontane dalla costa, sono il 30%, in particolare giovani tra i 20 e i 25 anni.
Nella città di Sidi Bouziz, uno dei centri della rivolta, la disoccupazione è addirittura al 48% e ha già portato al riaccendersi delle proteste di piazza. Le cifre, comunque, sono rimaste stabili da marzo a oggi. Il malcontento è diffuso soprattutto tra i laureati, che contribuirono più di tutti gli altri alla caduta del regime di Ben Alì e aspettano di colmare l’enorme vuoto lasciato dalle aspettative create dalla rivoluzione.

«OCCORRE AVERE PAZIENZA». «Secondo me non è più tempo di protestare», ha spiegato a Lettera43.it Yassim Shagrani, uno dei coordinatori di Mezza Luna Rossa a Tunisi, «ma di rimboccarsi le maniche. Abbiamo un Paese libero e giovane, e adesso bisogna avere pazienza. Bisogna proporre e collaborare. Ho tanti amici che reagiscono alla disoccupazione inventandosi dei lavori o rimanendo a casa di aiutare le mogli, e credo che sia questa la strada giusta. Il governo, che è pure provvisorio, non può da solo farsi carico del futuro».
Nemmeno gli analisti, ormai, credono più all’ipotesi della rivoluzione tradita: «Creare un sistema politico e sociale ex novo è un processo lungo e faticoso», ha aggiunnto Della Seta, «dal punto di vista di una società civile, ci vuole tempo prima che le istituzioni riconquistino la fiducia dei cittadini».

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