SIRIA: UNA GUERRA CIVILE CON 27 MORTI AL GIORNO

Pubblicato il da paetomm@gmail.com

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"They are not my forces, they are military forces belong to the government. I don’t own them. I don’t own the country, so they are not my forces"

Se a pronunciare questa frase non fosse stato il Presidente di uno Stato dittatoriale che negli ultimi mesi si è dimostrato tra i più sanguinari di tutta l’area mediorientale, con alle spalle una storia di oltre quarant’anni di repressioni, probabilmente queste parole non desterebbero alcun interesse particolare.

Il Presidente Bashar al-Assad, in una recente intervista rilasciata all’inviata dell’emittente americana Abc Barbara Walters, ha fornito la sua versione dei fatti riguardo alle violenze che stanno scuotendo la Siria da dieci mesi.

Asserragliato nel suo palazzo a Damasco, al-Assad ha indicato i motivi per cui la popolazione siriana si è spinta a manifestare contro il regime, gli attori che si muovono dietro le quinte delle proteste, le vittime e i colpevoli dei disordini e, soprattutto, si è difeso dall’accusa di aver ordinato ai militari di attuare un “giro di vite” per placare gli oppositori.

“C’è una bella differenza – ha sostenuto al-Assad – tra applicare un giro di vite nei confronti dei dissidenti (cosa che lui non ritiene sia stata messa in atto contro la popolazione siriana, ndr) e il fatto che in alcuni casi gli ufficiali possano aver commesso degli errori nel valutare le azioni da intraprendere per gestire i disordini” (ad oggi, stando agli ultimi dati delle Nazioni Unite, il bilancio degli “errori commessi dagli ufficiali siriani” risale ad oltre 5000 morti).

timthumb.php.gifPer giustificare la sua estraneità agli episodi di violenza, il Presidente ha sostenuto che il mantenimento dell’ordine interno è compito delle forze armate e che il loro comportamento non dipende da lui. Le accuse che le sono state mosse – a livello internazionale e regionale – per i massacri perpetuati dall’esercito nei confronti della popolazione sarebbero, secondo al-Assad, da imputare interamente alle scelte individuali di qualche ufficiale.

Secondo la Costituzione siriana il Partito Socialista Arabo Ba’ath ha funzioni preminenti all’interno dello Stato e della società e provvede a garantire ampi poteri al Presidente. Tra gli innumerevoli compiti che il Partito affida a quest’ultimo si trova anche quello di nominare le alte cariche militari. Bashar al-Assad è inoltre comandante in capo delle Forze armate siriane e non è credibile una sua estraneità ai fatti, pur soprassedendo sulla sua responsabilità de facto di Capo di Stato.

In aggiunta, se si analizzano i dati della composizione etnica dei militari, si nota come, a fronte di una popolazione composta per il 74% da sunniti e per il solo 12% da alawiti (ramo dello sciismo a cui appartiene anche il Presidente siriano), all’interno delle forze armate la situazione sia rovesciata. La percentuale di alawiti tra le fila dell’esercito si aggira intorno al 70%, arrivando a toccare l’80% del totale se si prende in considerazione solamente il corpo degli ufficiali.

La più importante divisione militare, la Guardia Repubblicana, è guidata dal fratello più giovane del Presidente, Maher al-Assad, ed è interamente composta da membri della sua stessa comunità religiosa. Le forze di terra sono organizzate in tre corpi, due dei quali retti da ufficiali sempre di confessione alawita: la Damasco Headquarters, che controlla il sud del Paese, e lo Zabadani Headquarters, che controlla il confine libanese.

Anche nell’aeronautica il peso di tale comunità è notevole. Sebbene la maggioranza dei piloti siriani si professi sunnita, il comando nei settori della logistica e delle telecomunicazioni aeronautiche è in mano ad alawiti. Le forze aeree siriane dispongono poi di una delle più efficienti agenzie di intelligence del Paese, incaricata dell’importante compito di prevenire diserzioni di massa da parte dei piloti sunniti, nella quale i posti al vertice sono sempre occupati da persone legate al Presidente.

Infine, anche a capo del triumvirato che ha coordinato le repressioni contro i manifestanti sono stati messi uomini vicini a Bashar al-Assad: suo fratello Maher, suo cognato Asef Shawkat, e Ali Mamluk, direttore dell’intelligence siriana che, pur non essendo alawita e non vanti relazioni di parentela con al-Assad, viene ritenuto uno dei suoi fedelissimi.

Più che un esercito nazionale, le forze armate siriane sembrerebbero essere una milizia personale del Presidente o un corpo militare facente capo al gruppo religioso alawita. Appare dunque estremamente difficile ritenerle indipendenti dalla volontà del Presidente.

Per uscire dalla situazione di impasse in cui si trova, resa ancora più images-copia-3.jpgdifficile dall’aumento delle pressioni interne ed internazionali sul suo regime, al-Assad ha giocato la carta mediatica, come prima di lui aveva fatto Gheddafi. Oltre agli Stati occidentali, Russia e Cina stanno riconsiderando la natura dei propri rapporti con Damasco, e la stessa Lega Araba è arrivata a sospendere la Siria dall’organizzazione e ad applicare sanzioni contro il regime.

Nonostante tutto, comunque,  al-Assad gode ancora di un fortissimo sostegno all’interno delle forze armate. Le defezioni interne all’esercito sono rare e coinvolgono solo i livelli più bassi di comando.

“Non uccidiamo la nostra gente, nessun governo lo fa, a meno che non sia guidato da un pazzo”. Queste sono state le parole decisive che il Presidente siriano ha utilizzato per allontanare da sé le accuse di responsabilità nei massacri. Parole che susciterebbero ilarità se su di esse non pesassero migliaia di morti che gridano vendetta.

In Siria si vive una situazione da guerra civile, con una media di 27 morti al giorno, cifre vicine a quelle libiche durante le proteste contro Gheddafi.

Forte dell’incondizionato appoggio del suo esercito e grazie alle debolezze dell’opposizione interna e della comunità internazionale, al-Assad gioca con l’opinione pubblica internazionale e rilancia la sua immagine di Presidente attento, guida della nazione, sicuro che nessuna forza multinazionale violerà il suolo nazionale, perché la Siria non è la Libia. E il collasso della “sua Siria” sembra per il momento un’ipotesi ancora lontana.

fonte: http://www.meridianionline.org/

di Lorenzo Baldi

olivia

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