AMERICA E CINA - I DUE IMPERI A CONFRONTO - (paola)

Pubblicato il da paetomm@gmail.com

                                                                                             CINA E DESERTO
Mentre in Libia infuria la battaglia, la Cina combatte silenziosamente la sua guerra.
Le armi non sono missili e carri armati, ma acqua, piante e grano.

Nelle vaste pianure centro-occidentali, cambiamenti climatici e inquinamento stanno facendo avanzare il deserto a passo di carica.

Dal 1950, rileva Lester Brown (presidente dell'Earth Policy Institute) sul Washington Post, oltre 24 mila villaggi sono stati abbandonati, per il micidiale effetto combinato della colossale migrazione verso le città costiere e dell'avanzamento delle dune.

Negli ultimi anni, il deserto è arrivato a minacciare Pechino, le cui falde si stanno rapidamente esaurendo e le cui autorità stanno perdendo la battaglia per sfamare una popolazione passata negli ultimi sette anni da 14 a 23 milioni di anime.

Oltre a mangiare di più, con la crescita del benessere i cinesi consumano e guidano di più, contendendo con infrastrutture viarie e industrie lo spazio all'agricoltura: Brown calcola che per ogni milione di auto immesso sul mercato (14 nel solo 2009), vengano cementificati oltre 20 mila ettari di suolo.  Traffico-a-Pechino.jpg   

A mali estremi, estremi rimedi: il faraonico progetto di rimboschimento – 300 milioni di alberi da piantare nei prossimi anni nell'Hebei, a nordovest della capitale, per arrestare l'avanzata del deserto del Gobi –
potrà forse, in prospettiva, contribuire al ripristino di un equilibrio ambientale pesantemente compromesso.

Ma non può risolvere l'emergenza: sfamare i pechinesi e i loro connazionali, minacciati in molte zone da analoghi fenomeni di inquinamento e desertificazione.

Nell'immediato, dunque, alla Cina serve un granaio esterno, un paese in grado di produrre ed esportare enormi quantità di granaglie.

Quel paese, allo stato attuale, sono gli Stati Uniti.
L'anno scorso l'America ha esportato 90 milioni di tonnellate di grano, sufficienti a coprire circa un quinto del fabbisogno cinese (in crescita).
Non molto, ma nemmeno poco e, comunque, una quantità ineguagliata da ogni altro produttore singolarmente preso.

Sempre lo scorso anno, la Cina ha importato 2 milioni di tonnellate di grano dagli Usa. Se ne importasse 40 volte tanto, l'America avrebbe uno sbocco assicurato per il suo surplus agricolo, da riversare in un mercato con margini di crescita enormi.  

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Qui sta la grande opportunità. Ma è anche qui che iniziano i problemi, che sono essenzialmente due.

Primo: per Washington, la Cina non è un mercato normale. È anche, incidentalmente, il principale detentore del suo debito pubblico.
Ergo, è un cliente con un forte potere di ricatto: il cliente che di solito non si vorrebbe avere.

Massicce esportazioni alimentari verso la Cina (succede già con la soia) possono contribuire al riequilibrio della bilancia commerciale, ma potrebbero configurarsi come una scelta obbligata per l'America, che già si vede costretta a sfamare il suo banchiere.

Da qui il secondo problema: l'export agricolo è un business colossale per gli Usa, ma è economicamente vantaggioso per tutti fintanto che gli importatori non entrano in diretta competizione con gli statunitensi,
facendo lievitare i prezzi degli alimenti.

Per evitare ciò, il mercato interno necessita di un surplus strutturale, che l'America è sempre riuscita a garantirsi, scongiurando l'inflazione alimentare. Che non riguarda solo grano e derivati, ma anche
l'allevamento (carne, uova, latte), che necessita di mangimi in quantità.                                                                                                                   Il-prezzo-del-grano-e-la-fame.jpg      

Essere fornitore “ufficiale” di 1,4 miliardi di cinesi può insomma decretare la fine dell'era del cibo a basso prezzo negli Usa, innescando dinamiche inflazionistiche e tensioni sociali serie.

Una vera rivoluzione, in grado di cambiare la struttura stessa del mercato domestico. La Casa Bianca lo sa.

Ma sa anche che il suo potere contrattuale è strangolato da 14 mila miliardi di debito pubblico.

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