GUATEMALA E ARGENTINA: DUE DONNE CANDIDATE ALLA PRESIDENZA DEI RISPETTIVI PAESI

Pubblicato il da paetomm@gmail.com

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Per le elezioni dell'11 settembre, in Guatemala, si è candidata Sandra Torres, moglie del presidente uscente Caballeros, mentre per quelle argentine previste per il 23 ottobre, dopo le primarie obbligatorie del 14 agosto, si ripresenta Cristina Kirchner, già eletta in sostituzione del marito Néstor.

Le prossime due elezioni in agenda in America Latina sono in Guatemala e in Argentina. In Guatemala si vota l’11 settembre. In Argentina il 23 ottobre, ma sono previste primarie aperte e obbligatorie per il 14 agosto. A parte l’essere inseriti entrambi nell’ecumene latinoamericana e la lingua spagnola, Guatemala e Argentina sono due paesi privi di punti in comune.

Meno che mai dal punto di vista del sistema politico. Ma in questo momento c’è una importante coincidenza, che si ricollega a tre più ampi fenomeni che stanno interessando la regione. Uno è l’ascesa di leader
femminili, di cui è stato un momento particolarmente importante l’arrivo di Dilma Rousseff alla testa dello stesso Brasile: il paese più importante della regione.

Il secondo è il problema della rielezione presidenziale. Il terzo è la questione delle eredità familiari: che ha visto ad esempio la successione al potere da Fidel Castro al fratello Raúl , la candidatura in Perù di Keiko Fujimori e le voci su una possibile successione di Adán Chávez al fratello Hugo.

In Argentina si è infatti ricandidata per la Presidenza la capo di Stato uscente Cristina Fernández de Kirchner, già eletta in sostituzione del marito Néstor, che è poi morto nel momento in cui sembrava sicuro che
sarebbe stato lui a riprendere il testimone della staffetta familiare.

In Guatemala si è presentata Sandra Torres, la moglie del presidente uscente Álvaro Colom Caballeros. Ma se Cristina è vedova, Sandra è divorziata. Un divorzio fatto a maggio d’accordo col marito, apposta per
aggirare quell’articolo 186 della Costituzione che vieta non solo la ricandidatura del Presidente ma anche la candidatura dei suoi familiari fino al quarto grado di consanguineità o al quarto di affinità.

Cristina-Kirchner-.jpgLa differenza è che Cristina stava in testa ai sondaggi, e sembrava in grado di vincere comodamente al primo turno, grazie alla divisione dell’opposizione. Le ultime rilevazioni le danno infatti tra il 38,1 e il 41,6%.

Il radicale Ricardo Alfonsín, figlio del presidente del ritorno alla democrazia, sta tra il 15,9 e il 20,4%. Eduardo Duhalde, che fu uno dei presidenti ad interim dopo le drammatiche dimissioni di Fernando de la Rúa in seguito alla crisi del 2001 e dopo aver sponsorizzato i Kirchner è oggi leader di una corrente peronista loro avversa, sta tra l’8,2 e il 13,1%.

Alberto Rodríguez Saá, altro ex-presidente ad interim e leader di un’altra corrente peronista anti-Kirchner, sta tra il 4,1 e il 4,8%.

Il socialista Hermes Binner sta poi tra il 5,3 e il 6,3%, e tra il 3 e il 5,5% sta Elisa Carrió: una ex-radicale oggi su posizioni tra il liberale e, come diremmo in Italia, il dipietrista. Al contrario Sandra Torres arrancava
in un secondo posto piuttosto lontano dal candidato della destra, il generale Otto Pérez Molina.

A favore di Cristina sta il boom economico che ha fatto del tutto superare agli argentini la crisi del 2001, e anche l’impressione popolare per la morte del marito: più di impatto rispetto alla risorgente inflazione, alla emergente debolezza del peso e a una sfacciata politica di utilizzo delle risorse pubbliche a fini di propaganda di parte che peraltro è abbastanza tipica della realtà latino-americana.

Certo, l’osservatore esterno è colpito da alcuni dati che sembrano implicare davvero un cambio epocale dell’economia argentina, come ad esempio quelli recentissimi secondo cui ormai l’Argentina esporterebbe
più pesce che carne: per ogni 10 chili di carne prodotti solo uno è esportato, contro 9 chili di pesce esportati ogni 10 prodotti.

In parte ciò è stato effetto di una politica dei governi Kirchner che ha cercato di incentivare appunto il consumo interno di carne rispetto all’export. Se si considera che anche la soia è più importante del grano sul fronte dell’export, si fotografa anche visivamente il modo in cui il mercato cinese sta prendendo sempre più posto di quelli europeo e nord-americano come principale destinatario dell’esportazione argentina.

Contro Sandra c’è l’impressione popolare per la delinquenza sempre più sandra-torres-jpgdilagante, specie quella dei narcos, che dà a un “duro” come Pérez Molina una chance in più; e anche la diffusa impressione che il divorzio sia un imbroglio destinato peraltro a essere cassato dalle magistrature.

E tuttavia, i giochi che in Argentina sembrano fatti sono stati riaperti da una serie di risultati elettorali a livello locale. Il più importante, quello del “Berlusconi argentino” Mauricio Macri, che al ballottaggio del 31 luglio è stato rieletto capo del governo della città di Buenos Aires con un distacco da record: il 64,3% dei voti, contro il 35,7% dell’ex-ministro dell’Educazione kirchnerista, Daniel Filmus.

Vanno ricordate alcune cose. Buenos Aires era sempre stata una roccaforte anti-peronista. Macri per riconfermarsi alla sua guida ha rinunciato a una candidatura alla Presidenza che in molti avevano dato per altamente probabile, e il suo partito di centro-destra non ha dunque presentato alcun candidato ufficiale per il 23 ottobre.

Cristina Kirchner ha dunque subito cercato di disinnescare il significato di questo dato congratulandosi con lui, e lui ha ringraziato sentitamente, in modo da sospettare che fra i due ci fosse un accordo sotto banco per
non pestarsi i piedi a vicenda. Con tutto ciò, e malgrado Macri abbia dato ai suoi sostenitori libertà di voto per le primarie, le semplici proporzioni di questo risultato hanno contribuito a dare speranza a un’opposizione che sembrava ormai abbacchiata.

La domenica prima del dato di Buenos Aires, d’altronde, c’era stato quello di Santa Fe, terza provincia più popolata e cuore agricolo dell’Argentina. Dove il candidato kirchnerista Agustín Rossi, già portavoce alla Camera, era arrivato solo terzo, con il 22,2%, dietro non solo al socialista Antonio Bonfatti, con il 38,7%, ma anche a Miguel del Sel, un attore comico che si è candidato per il partito di Macri, arrivando di sorpresa al 35,2% grazie all’appoggio di Duhalde e di un altro noto peronista anti-Kirchner come il senatore e ex-campione automobilistico Carlos Reutemann.

Più complessa è l’analisi sul dato della domenica successiva a Córdoba, dove il peronista José de la Sota si è imposto sul socialista Luis Juez e sul radicale Oscar Aguad. Ma de la Sota aveva avuto comunque con il governo un rapporto complicato, ed è stato appoggiato sia da kirchneristi che da anti-kirchneristi; da Duhalde a Reutemann, a vari esponenti macristi.
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Insomma, lì il governo non ha perso soprattutto perché non aveva veri e propri candidati suoi; o, detto in altro modo, perché il vincitore è riuscito a smarcarsi dall’immagine di kirchnerista. Insomma, negli ultimi giorni ha riacquistato peso l’impressione che Cristina possa essere costretta per lo meno al ballottaggio.

Ma ancora più forte è l’impressione che Macri stia conducendo un suo gioco complesso in cui una eventuale vittoria di Cristina gli servirebbe appunto per spazzar via tutte le altre opposizioni, e accreditarsi lui come l’unico che può cacciare il kirchnerismo dalla Casa Rosada nel 2015. A questo punto, però, è importante vedere quel che salterà fuori dalle Primarie.

È la prima volta che si terrà questo appuntamento, introdotto appunto dai governi kirchneristi. In teoria, lo scopo dovrebbe essere quello di obbligare ogni partito ad annunciare le proprie coalizioni e a sottomettere la scelta dei candidati a militanti e simpatizzanti. Di fatto, si impone una prima scrematura di piccoli gruppi che non riescono ad ottenere un minimo di voti richiesto.
  La boca - Buenos Aires
la-boca.jpgPoiché però la gran parte dei gruppi si è accordata su candidati unici, le incognite di questi voti non sono dunque i nomi, ma riguarderanno altre cose. Cristina mostrerà di poter ottenere quel 40% che ripetuto a ottobre le permetterebbe di vincere subito al primo turno. Chi arriverà secondo tra Alfonsín e Duhalde? E con chi si schiereranno gli elettori di Macri? Il problema di Sandra Torres è invece che la sua candidatura è stata cassata a ripetizione dalle magistrature guatemalteche.

“Frode alla legge” è stato giudicato il suo divorzio sia dal Tribunale supremo elettorale che dalla Corte suprema di giustizia. Lei ha fatto allora un terzo ricorso presso la Corte di costituzionalità ma nel contempo anche un quarto presso la Corte centroamericana di giustizia, considerando una violazione dei suoi diritti umani l’essersi trovata “esclusa dalla lotta elettorale”.

Si è esibita addirittura con le lacrime agli occhi davanti a una marea di sostenitori acclamanti mentre ripeteva di non essere “sposa di nessuno”, di non avere “nessuna parentela col presidente della Repubblica” e di essere “una madre nubile con quattro figli”. Ed ha pure accusato i giudici che l’hanno esclusa di stare “al servizio di un potere economico che non vuole pagare le imposte ma che impone governanti al popolo”.

Anche il partito di governo, la socialdemocratica Unione nazionale della speranza, ha denunciato lo Stato del Guatemala presso la Corte centroamericana di giustizia, assieme ai suoi alleati moderati della Grande alleanza nazionale, in base al Trattato quadro di sicurezza democratica in Centroamerica, alla Carta democratica dell’Osa e alla Carta dell’organizzazione degli stati centroamericani.

E la Corte, che ha sede a Managua, ha trovato ammissibile il ricorso. Dunque, è stata mandata al Guatemala una intimazione a rispondere entro 10 giorni, in modo da poter tener presente le argomentazioni
di entrambe le parti in vista della decisione finale. E il rischio è che il Guatemala venga sottoposto a sanzioni diplomatiche e economiche, se non adempie.

Ed ecco qui un doppio paradosso abbastanza curioso. Primo: un partito di governo che chiede sanzioni  internazionali contro il paese che esso stesso amministra. Secondo; il presidente della Corte che ha preso questa decisione e che minaccia di far partire sanzioni diplomatiche e economiche contro il Guatemala è  l’honduregno Francisco Darío Lobo.
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Cugino di quel Porfirio Lobo che è stato eletto presidente dell’Honduras dopo la deposizione di Manuel Zelaya proprio per aver cercato a sua volta di aggirare un divieto costituzionale alla rielezione, e che è stato per ciò a sua volta sottoposto a sanzioni solo da poco revocate.

Da ricordare anche che la Corte centroamericana di giustizia ha due magistrati salvadoregni, due honduregni e due nicaraguensi. Ma i due posti spettanti al Guatemala non sono in questo momento coperti per via dei dissidi politici interni che hanno impedito di designarli.
 

fonte:  http://goo.gl/7LGnv - di Maurizio Stefanini

 

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